Focus
Teatro amatoriale
Voce alle donne
Abbiamo raccolto l'opinione di sei attrici di compagnie amatoriali del Veneto, a proposito del ruolo femminile in questa realtà e di eventuali discriminazioni. Le risposte hanno toccato i più diversi ambiti della vita quotidiana in famiglia, nel lavoro e sul palcoscenico, tra posizioni più legate alla tradizionale divisione dei ruoli e altre più spinte verso un'assoluta parità.
di Filippo Bordignon
La resurrezione del movimento femminista alla quale stiamo assistendo negli ultimi anni riporta alla luce dei riflettori massmediatici la questione della donna nella società contemporanea. Le sacrosante conquiste che si credevano acquisite a seguito dell’ultima ondata storica, inquadrabile approssimativamente negli Anni ’70 del secolo scorso, sono state svilite dal caso Weinstein, arcinoto produttore hollywoodiano incriminato per decine di molestie sessuali ad attrici appartenenti al proprio rooster.
Le indagini giornalistiche che ne sono seguite hanno tratteggiato l’impietoso affresco di un mondo dello spettacolo ancor oggi dominato dalla sopraffazione sessuale di uomini potenti su donne ingenue o talvolta solo smodatamente ambiziose. Tale triste realtà pare coniugabile, in varie forme e con le dovute eccezioni, a tanti altri ambiti lavorativi e della sfera sociale, negli States come in Europa. La situazione è grave come gridato sonoramente nelle piazze da tante donne in tutto il mondo? Ne abbiamo parlato con alcune attrici venete per testare il polso del teatro amatoriale veneto in rapporto con la condizione femminile.
Con un’esperienza di oltre vent’anni nella compagnia di San Stino di Livenza (Venezia) La Goldoniana, l’attrice Bruna Schiesaro figura come la persona ideale per cominciare questa breve investigazione.
“Per quella che è la mia esperienza personale - evidenzia la Schiesaro - non ho riscontrato differenze di trattamento tra uomini e donne. Il regista ha scelto e sceglie i personaggi esclusivamente in base alle persona e alle personalità che ha a disposizione. Poi se qualche figura emerge maggiormente sulle altre le ragioni possono essere molteplici: dalla tipologia di personaggio al particolare talento dell’attore o dal suo carisma”.
Innamorata del teatro fin da bambina, l’attrice si è avvicinata successivamente al linguaggio dialettale veneziano riscontrando una grande risposta di pubblico grazie a lavori quali I rusteghi e La finta malata, che la compagnia porterà in scena il prossimo luglio. «La bellezza di una donna non mi sembra né di ostacolo né di aiuto quando ella può vantare dalla propria il talento - prosegue la Schiesaro -. Il riscontro da parte degli spettatori è derivato esclusivamente da criteri quali la gestualità o la capacità di immedesimazione nel soggetto interpretato. Trovo ovviamente lodevoli le rivendicazioni del neo-femminismo di questi giorni, a patto che non si passi a una forma di estremismo da opporre semplicemente al maschilismo di una parte minoritaria della società. Sono stati fatti molti passi avanti in questi anni in tal senso, anche se certe conquiste restano più sulla carta che nella vita reale; penso, ad esempio, alla difficoltà che incontra una donna imprenditrice a veder riconosciuto il suo ruolo di leader all’interno di un’impresa quasi interamente composta da uomini».
«Sicuramente la bellezza estetica rende più facile una certa comunicazione con il pubblico - constata Patrizia Scotton della compagnia vicentina Arca - e di conseguenza forse risulta più facile essere scritturate per alcuni ruoli. Ma l'attrice amatoriale, non soggetta ai giudizi spietati sulla stampa, i social e via dicendo, può tranquillamente offrire qualsiasi personaggio senza dover far leva su fattori meramente estetici. Il sentimento che si trasmette recitando non deve per forza viaggiare entro certi schemi. La cosa meravigliosa per un attore è che egli può diventare ogni volta qualcun altro: sappiamo bene come tante donne ‘brutte’ riescano a risultare bellissime per il pubblico, così come donne oggettivamente belle deludano spesso le aspettative di chi si lascia irretire dal bell’aspetto. La mia avventura presso Arca è assolutamente positiva sotto il profilo del rispetto. La diversità dei sessi non ha mai costituito un inciampo ma, anzi, talvolta è risultata uno stimolo a creare qualcosa di originale. Ricordo un adattamento del Cesare e Cleopatra da Bernard Shaw in cui il mio personaggio fu convertito da maschile in femminile conferendo al testo un’inedita prospettiva. Per quel che riguarda il cosiddetto ‘neo-femminismo’, beh, per carattere mi trovo sempre a disagio davanti ad atteggiamenti totalitaristici. Sono ovviamente a sostegno della parità di diritti tra i sessi ma, essendo i due sessi inevitabilmente diversi tra loro, dobbiamo appunto riconoscerne le diversità e non invocarne un’omologazione. Il sesso femminile può essere parificato a quello maschile in moltissimi ambiti ma non in tutti, e viceversa».
«La mia testimonianza all’interno della compagnia veronese Nuova Filodrammatica Partenopea - racconta Clotilde Cavaliere - è più che positiva e smentisce il luogo comune secondo cui in ogni angolo non illuminato della società si annida il germe di un atteggiamento discriminante verso le donne. Anzi. Spesso ho sperimentato concretamente da parte dei miei colleghi la massima fiducia e collaborazione per il mio lavoro. Quanto all’avvenenza per un’attrice è una caratteristica che può al massimo indirizzare il regista verso la scelta di alcune parti. Ma sono sempre e solo l’espressività e la bravura che fanno la differenza. La mia opinione è che con tutte le contestazioni accese a cui assistiamo quotidianamente otterremo un effetto boomerang; ma tenga conto che il mio è un atteggiamento che alcuni chiamerebbero ‘all’antica’. Il mio pensiero è che uomo e donna nella vita hanno ruoli ben precisi e che non è buona cosa annullare quest’ordine. Pensi alla gestione di una casa: ben venga la collaborazione da parte del maschio ma a una sostituzione dei ruoli proprio non ci sto».
«Una cosa è certa - sottolinea Alessandra Tesser della compagnia trevigiana Streben - tanti testi teatrali assegnano le parti più incisive agli uomini anche se la drammaturgia moderna e contemporanea ha posto un freno a questa inclinazione. Forse per il mio carattere intraprendente e ricco di iniziativa non ho sperimentato particolari sopraffazioni da parte dei maschi delle compagnie in cui ho lavorato, sia in veste di attrice che di regista. Ma può darsi che questa situazione assolutamente positiva derivi dal fatto che per noi amatoriali il teatro è soprattutto un gioco e non un lavoro vero e proprio. Nonostante si levi alto dalle piazze il coro di tante donne coraggiose e motivate la mia percezione è che in Italia stiamo regredendo dal punto di vista dell’equilibrio donna-uomo. Basti pensare all’enfasi che si pone oggigiorno sul concetto di famiglia tradizionale. Perciò, sì, ben venga il coraggio di queste neo-femministe. Noi donne dobbiamo riprendere in mano la nostra bravura e dimostrare, ancora una volta, che sappiamo brillare anche più degli uomini. Il fatto è che se si è madri, ad esempio, tutto risulta più complesso. Il maschio riesce a concedersi i propri hobby con maggiore facilità ma a una donna-madre la società impone tacitamente molte più rinunce. Fortunatamente la nostra passione e la nostra ostinazione ci consente di raggiungere quasi sempre gli obiettivi preposti».
Anche l’esperienza di Raffaela Longhin nella Compagnia Cic El Canfin di Baricetta (Rovigo) è positiva: «Io non ho vissuto né sto vivendo alcuna discriminazione né avverto un trattamento differente rispetto agli attori maschi - ci spiega - anzi, avendo portato in scena anche commedie come Il clan delle vedove in cui ci sono ben quattro le donne protagoniste ritengo che ci venga dato, quando l’opera lo prevede, tutto lo spazio necessario per far emergere le nostre qualità. C’è da rilevare che, in generale, il ruolo della donna nella società italiana è mutato grandemente e in meglio nel corso degli ultimi decenni. Nonostante la piaga dei femminicidi, che sempre c’è stata e, temo, sempre ci sarà, oggi siamo presenti in tutti i settori dimostrando una competenza che spesso ci fa superare i colleghi maschi. Ricordo che quand’ero giovane mi ritenevo un’incallita femminista e mi pareva evidente una netta separazione tra l’universo maschile e quello femminile. Ora quella separazione è andata sfumando. C’è anche da aggiungere che la mia è una situazione fortunata: ho un marito che mi ha sempre aiutato nelle faccende domestiche fin da quando le mie figlie erano piccole, consentendomi di dedicarmi alla passione per il teatro in tutta serenità».
Un esempio ancora più eclatante è quello di Isabella Trevisi, attrice a partire dai suoi vent’anni per la padovana Associazione Artistica Benvenuto Cellini e che oggi vanta in compagnia il marito e i due figli. Una condizione che certamente facilita l’espletamento dei doveri legati alla quotidianità familiare senza sacrificare l’ardente passione per il teatro. «Fermo restando che, con le dovute eccezioni, la maggior parte delle opere teatrali tendono a conferire i ruoli principali agli uomini, in compagnia non ho mai respirato anche solo vagamente un’atmosfera discriminatoria - spiega la Trevisi –. È pur vero che, ragionando in termini più ampi, oggi in Italia c’è stato un arretramento sociale. La violenza sulle donne, piaga che davamo per debellata, è riemersa in numeri percentuali davvero inquietanti. Un tempo si credeva che le violenze domestiche fossero appannaggio delle classi sociali più basse ma è evidente che si tratta di una forma mentale tristemente condivisa a ogni livello sociale e sempre connessa con il possesso. Il femminismo di oggi, però, paragonato a quello che ho incontrato nella mia giovinezza, mi sembra “all’acqua di rose”. Ci perdiamo a rivendicare terminologie come “ministra” o “avvocatessa” non riuscendo ad affrontare compiutamente macrotemi ben più urgenti e vitali».